E sul palco il giullare
riapre il processo Sofri
UGO VOLLI
da Repubblica, 8 marzo 1998
BUSTO ARSIZIO - Il caso Sofri va in televisione. O meglio, ci andrà
a raccontarlo Dario Fo, che con una frenetica serie di prove aperte e di
registrazioni sta cercando di accumulare il materiale per arrivare a una
trasmissione su RaiDue prima della decisione della Corte d'Appello di Milano
sulla richiesta di revisione del processo per l'assassinio del commissario
Calabresi, presentata da Sofri, Bompressi e Pietrostefani, che sarà
definita fra una decina di giorni.
Dopo la prima prova aperta a Busto Arsizio, l'altra sera, e qualche altro
spettacolo in provincia (oggi alle 17.15 al palazzetto dello sport di Cologno
Monzese) il premio Nobel Dario Fo presenterà il suo lavoro a Milano
il 16 marzo al Teatro Nazionale.
BUSTO ARSIZIO - È ingombro il palcoscenico del Teatro Sociale di
Busto Arsizio (minacciato di essere trasformato in supermercato, ed è
anche per difenderlo che Fo e Rame hanno deciso di debuttare qui). Ci sono
le tre sagome degli accusati, a grandezza quasi naturale, più quella
del pentito Marino, riccioluto, baffuto e un po' sconvolto, più un'altra
sagoma senza volto, quella del "basista" Luigi, mai scoperto nelle
investigazioni e nei processi. Ci sono due specie di gigantesche lavagne
mobili, cui stanno appese delle grandi pagine di stoffa, che rappresentano
ingrandimenti di piantine topografiche delle zone di Milano coinvolte nel
delitto. C'è un leggìo di legno vagamente gotico, su cui è
appoggiato un librone in sei capitoli, ognuno ricco di parecchie decine
di tavole illustrate a colori.
Ogni pagina è cioè una specie di fumetto disegnato da Dario
Fo, con particolari, episodi, ritratti, schemi, piante che ricostruiscono
un dettaglio dell'affare Calabresi. Dietro il libro sta in piedi Franca
Rame, che gira le pagine secondo il ritmo del racconto, decifra i dettagli,
aiuta e corregge la memoria di Fo. Dietro a lei, una telecamera mobile inquadra
le tavole, riproducendole su un maxischermo sul fondo.
Di lato, inquietante, un pupazzo in plastica del solito Marino, salopette
di jeans, baffoni, riccioli neri, occhi azzurri. Ogni tanto Fo gli si avvicina,
lo prende in braccio, lo fa muovere, gli si rivolge, gli tira uno scappellotto
perché mente, o un buffetto di incoraggiamento. In mezzo a tutto
questo apparato, sta lui, il nostro per nulla accademico o letterario Premio
Nobel per la letteratura: camiciotto rosso, pantaloni sformati, la faccia
un po' più pallida del solito, visibilmente stanco, ma sorridente
determinatissimo a portare avanti il suo impegno militante. Parla, racconta,
sfotte, imita, blocca gli applausi della folla accorsa al prezzo politico
di quindicimila lire ("Vanno tutti alla difesa di Sofri, noi non vediamo
un soldo", assicura Franca Rame).
Spesso è smemorato, sbaglia i nomi, si confonde coi dettagli, ma
va avanti ansioso di trasmettere la sua certezza incrollabile dell'innocenza
dei "tre compagni incarcerati". Ogni tanto produce qualche gag,
come quando tenta di comprimere in tre minuti il colloquio decisivo che
Marino avrebbe avuto con Sofri a Pisa, a suo dire in questo tempo assurdamente
limitato: le mascelle si muovono allora con un ritmo da scioglilingua, gli
occhi si strabuzzano, il fiato si fa ansioso, le parole scorrono come un
torrente in piena, e il pubblico esplode in una clamorosa risata. Oppure
c'è il traffico per togliersi e levarsi i guanti di Marino che non
deve lasciare impronte mentre guida la macchina rubata per il delitto fuori
dal parcheggio, il suo litigio con un altro automobilista, tutto mimato
senza parole. Ma l'aspetto comico è secondario, quel che gli preme
è convincere che i fatti non possono essersi svolti come pretende
l'accusa: "Se non vi indignate ora, smetto e me ne vado", sbotta
a un certo punto. E in sala gli danno tutti ragione con grandi applausi
liberatori.
Il suo insomma non è affatto uno spettacolo comico, sia pure impegnatissimo,
alla maniera dei suoi vecchi lavori sul caso Pinelli o su Fanfani. Quel
che gli interessa è di esaminare i dettagli, di far sapere, di accumulare
"le 120 balle della testimonianza di Marino". La sua è
dunque un'arringa, un lungo comizio in cui a partire dalle bombe di Piazza
Fontana e fino alla sequenza dei sette processi a Sofri e compagni, ogni
particolare è scritto, illustrato, raccontato, commentato. Il vero
protagonista della serata è il librone, scritto, dipinto, chiosato,
ritoccato, in cui c'è posto per la pila elettrica trovata in fondo
alla macchina usata per l'omicidio, senza che il pentito se ne ricordasse,
per l'esame dettagliato dei minuti necessari per fuggire col metrò
dal luogo del delitto fino alla Sta zione Centrale, per le piante degli
appartamenti, per le condizioni meteorologiche di quel giorno a Milano,
per la psicologia contorta del testimone chiave o per l'esame delle sue
altre confessioni, insomma per anni di processi e decine di testimonianze.
Intorno al libro, Fo e Rame intrecciano una gag che fa un po' "Casa
Vianello": lei corregge i suoi errori, lui è un po' insofferente,
vuole dire le cose a modo suo, ma poi chiede aiuto sul nome di una piazza
o sulla data di un fatto, lei si lamenta per non riuscire a dormire la notte
per via dell'aureola che le si è accesa in testa a furia di seguirlo
in questo spettacolo, lui cerca di pilotare la telecamera a inquadrare questo
o quel dettaglio e si arrabbia quando non lo capiscono. Il risultato della
grande orazione di Fo è forse convincente soprattutto per quelli
che dall'inizio sono innocentisti - la quasi totalità del pubblico.
Ma è anche un grande e ammirabile esempio di passione civile: una
coppia teatrale conosciuta in tutto il mondo, col premio Nobel in tasca,
che s'impegna allo stremo, sfidando per tre ore la pazienza del pubblico,
per sostenere una causa di principio. È un gesto di tale fiducia
nella comunicazione, e nel teatro, che avrà certamente un grande
impatto, morale e spettacolare insieme.